Dal 19 marzo al 9 luglio 2022 nella sede di piazza Navona 34 quadri, 10 litografie, una selezione tra fotografie e collage di uno dei grandi protagonisti della scena culturale spagnola contemporanea
L’Instituto Cervantes, Acción Cultural Española (AC/E), Museo de Bellas Artes de Bilbao e Etxepare Euskal Institutua, presentano dal 19 marzo al 9 luglio 2022 nella sede di piazza Navona a Roma la mostra monografica su Gonzalo Chillida (San Sebastian, 1926-2008).
L’esposizione, a cura di Alicia Chillida, figlia dell’artista, e promossa da Miguel Zugaza, direttore del Museo di Belle Arti di Bilbao, ente che custodisce l’opera dell’artista, intende celebrare uno dei più rappresentativi protagonisti della scena culturale spagnola contemporanea, in un tour nelle sedi dell’Instituto Cervantes. A Roma arriva dopo la tappa di Parigi, da novembre 2021 a febbraio 2022, e proseguirà verso Tokio, da luglio a ottobre 2022, per ritornare al Museo de Bellas Artes di Bilbao nel 2023.
In mostra 34 quadri, 10 litografie, una selezione tra fotografie e collage, provenienti dalla collezione di famiglia e da altre collezioni private e pubbliche (San Telmo Museoa e Colección Kutxa di San Sebastián, Museo de Bellas Artes di Bilbao e Fundación Juan March di Madrid), riassumono ed esemplificano il percorso artistico di Gonzalo Chillida, che attraversa trasversalmente l’astrazione lirica, la metafisica, la rappresentazione dell’inumano e del paesaggio inanimato, coprendo un arco temporale che si snoda dal 1950 al 2007.
Le opere sono accompagnate anche dal documentario La idea del Norte, diretto nel 2016 dalla stessa curatrice e Benito Macías, che illustra il processo creativo di Gonzalo Chillida in una sorta di diario dell’osservazione. Una voce narrante trasforma il materiale d’archivio – film Super 8 e fotografie originali – nell’essenza del vocabolario visivo del suo lavoro. Il documentario raccoglie anche gli interventi di persone legate alla sua vita, mostrando i luoghi in cui ha vissuto e lavorato.
Gonzalo Chillida ha sviluppato una precoce vocazione per la pittura partendo dai grandi maestri spagnoli del Museo del Prado (Francisco de Zurbarán, Francisco de Goya, Juan Sánchez Cotán) e sin dagli esordi si può individuare un tema ricorrente nella sua opera: la sobrietà del paesaggio castigliano, in cui trova un infinito simile al mare.
Nel 1951 si stabilisce a Parigi, dove, mentre frequenta l’effervescente clima culturale di quegli anni, recepisce e interiorizza le nuove correnti dell’arte contemporanea, sperimentando la geometria, il post-cubismo e l’astrazione, che incidono profondamente sul suo orientamento artistico e sulla delineazione di quel proprio linguaggio con cui si esprimerà per tutta la sua carriera.
Nel 1953 fa ritorno nei Paesi Baschi installandosi nella sua città natia, San Sebastián: l’atmosfera del Golfo di Biscaglia, la luce e la forza della sua terra sono la cifra su cui si assesta il suo lavoro maturo.
Appassionatosi all’archeologia e al mondo antico, in occasione di una mostra collettiva all’Accademia di Spagna a Roma nel 1955, scopre e documenta il sito etrusco di Cerveteri, sviluppando una curiosità intellettuale anche per la preistoria basca e il mondo minerale e dei fossili che lo accompagnerà per il resto della sua attività.
Il mare, la sabbia, la foresta e il cielo: questi gli elementi principali delle sue opere, in cui affonda la ricerca di verità ultime, che non ammettono cambiamenti di visione e che possono essere percepite solo attraverso una silenziosa concentrazione capace di inglobare il visibile.
“La sua pittura è al limite, dove quello che si vede è definitivamente quello che trascende”, scrive in catalogo il critico d’arte e storico Francisco Calvo Serraller. E il limite, tra mare e terra, è dove si delinea quel ricettacolo di luce in cui si sfidano acqua e sabbia, natura e cultura, linguaggio e indicibile.
Partendo da un’iconografia circoscritta al mare e alla spiaggia, al paesaggio dei monti baschi o agli scorci dell’altopiano, la sua pittura mantiene per tutta la durata della sua produzione un gusto prettamente sensoriale e un’elegante tavolozza di grigi e ocra, evolvendosi verso composizioni sempre più sfocate e libere. Le forme ottenute attraverso sottili pennellate, ormai quasi evanescenti, finiranno per riferirsi a una certa poetica dell’arte orientale.
Al pari dell’artista Giorgio Morandi, che sosteneva: “nulla può essere più irreale di ciò che vediamo: la materia esiste, certo, ma non ha un suo significato intrinseco, come i significati che le attribuiamo. Solo noi possiamo sapere che un calice è un calice, che un albero è un albero…”, Gonzalo Chillida a partire dalla realtà, sceglie un motivo e lo sviluppa con un significato metafisico e con totale coerenza fino alla fine della sua carriera.
Los Bodegones / Nature Morte e Las Arenas / Sabbie, sono gli assi della sua poesia, oggetti e paesaggi inondati di immobilità che differiscono tra loro grazie ad alcune variazioni cromatiche e di luce.
Il viaggio verso l’essenziale lo porta a mettere gli occhi sulla sabbia che, a partire dagli anni Sessanta, sarà il titolo di molte sue opere, Las Arenas / Sabbie, evolvendosi da rappresentazioni più o meno riconoscibili a forme più liriche ed evanescenti poste al limite dell’astrazione.
“Questo uomo segreto chiamato Gonzalo Chillida”, come lo definisce il suo amico e poeta Gabriel Celaya, è un visionario romantico, un mistico che non può appassionarsi dell’aspetto pittoresco della Natura, perché penetrato nella sua essenza, così come la sua pittura diventa metafisica, poiché contempla il mondo dall’esterno, dal di fuori, oltre l’umano.
L’interpretazione del suo operato è però sempre lasciata allo spettatore, come ricorda la curatrice Alicia Chillida: “È “il lettore” che diventa “l’autore” sulla base dei ritrovamenti documentari e delle interpretazioni critiche e storiografiche che si svolgono attorno all’opera di Gonzalo Chillida. Queste voci lanceranno l’opera nel futuro, in collusione con il tempo, per darle la sua vera dimensione”.
In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo in 5 lingue (basco, spagnolo, francese, italiano e giapponese), con la prefazione di Alicia Chillida, l’epilogo del direttore del Museo di Belle Arti di Bilbao Miguel Zugaza, e i testi dei poeti José Ángel Irigaray (Pamplona, ??1942) e Gabriel Celaya (Hernani, Gipuzkoa, 1911-Madrid, 1991), il pittore Antonio Saura (Huesca, 1930-Cuenca, 1998) e il critico d’arte e storico Francisco Calvo Serraller (Madrid, 1948-2018).