Diretto dalla regista di Corpo e anima, Ildikò Enyedi, e tratto dal romanzo omonimo di Milan Füst. Nel cast anche Louis Garrel, Sergio Rubini e Jasmine Trinca
“Un film sull’amore, la passione, l’avventura, sui mille colori della vita”: così la regista Ildikò Enyedi descrive il suo nuovo film Storia di mia moglie, presentato in concorso a Cannes 2021 e dal 14 aprile al cinema, grazie alla distribuzione theatrical di qualità a cura di Altre Storie.
Dopo aver ricevuto la Camera d’Or a Cannes per Il mio XX secolo e l’Orso d’Oro a Berlino per Corpo e anima, film candidato al Premio Oscar miglior film straniero, la regista e sceneggiatrice Ildikò Enyedi, con Storia di mia moglie, racconta la complessità di una relazione di coppia, scrivendo un adattamento del romanzo ‘La Storia di mia moglie’ di Milan Füst e scegliendo un cast straordinario: Léa Seydoux, Gijs Naber, Louis Garrel, Sergio Rubini, Jasmine Trinca, tra gli altri.
Storia di mia moglie, ambientato negli anni venti, è la storia di Jakob Störr e di sua moglie Lizzy. Störr è un instancabile capitano di mare, dedito al proprio lavoro e rispettato da tutti. Un giorno, mentre si trova in un bar con un amico, scommette con lui di sposare la prima donna che entrerà nella caffetteria. È così che Jacob conosce Lizzy, sua futura moglie. Una semplice scommessa, fatta quasi per gioco, cambierà per sempre la vita semplice e disciplinata del capitano Störr. Dai ponti di comando, si ritrova improvvisamente assieme a Lizzy in un bell’appartamento a Parigi, nonostante non sappia molto della sua misteriosa consorte. La nuova vita matrimoniale, però, si dimostra più complessa del previsto. La tranquillità del capitano Störr viene sconvolta dalla ricerca sempre più ossessiva di comprendere una donna sfuggevole, che non si fa dire da nessuno come vivere.
Un film che racconta i diversi ‘volti’ di una relazione, l’amore, la passione, il sottile gioco tra attrazione e respingimento, tra fiducia e dubbio, conducendo lo spettatore in un viaggio nelle emozioni più contrastanti dell’animo umano, in una ricerca di come vivere la propria vita. “È inutile aspettare che la vita sia in armonia con te, l’armonia della vita la devi accettare sennò la vita ti punisce” dice Lizzy a suo marito Jakob.
“Per la prima volta ho scritto una sceneggiatura tratta da un romanzo – ha affermato la regista Ildikò Enyedi – con l’intenzione di servire i pensieri e la mente di uno scrittore che ammiro profondamente fin dalla mia adolescenza. Ma, di sicuro, posso farlo solo a modo mio. Milan Füst ci offre una storia: una bella trama ricca di colpi di scena, sorprese, un giro sulle montagne russe delle emozioni. Ci guida attraverso l’indagine emotiva di Jakob Störr con la suspense di un buon racconto poliziesco. Il mio intento primario è di raccontare bene questa storia. Voglio trascinare lo spettatore nelle profondità del mondo di Jakob Störr, l’affascinante capitano di vascello naufragato sulla terraferma…Il romanzo racconta di una storia d’amore appassionata ma l’essenza del libro è la ricerca di come vivere la nostra piccola, fragilissima vita. Bisogna accettare e apprezzare che la vita non si possa controllare. È più sfuggente, misteriosa”.
RECENSIONE a cura di Maria Grande
Ancora una grande storia d’amore per la regista di Corpo e anima, che scava, attraverso 7 capitoli, nelle pieghe di un rapporto di coppia esposto alle intemperie della vita, in cui l’attrazione va di pari passo con la difficoltà di comunicare.
Enyedi racconta, con grande lucidità, l’incontro di due anime irrequiete e disilluse, stanche di vagabondare, ma incapaci di ricongiungersi. Due anime che procedono in parallelo verso il nulla, in un crescendo di rancori e malintesi, scenate furibonde e riconciliazioni provvisorie, rimanendo, però, sempre estranee l’una all’altra. Ciononostante, la loro, è la storia di un amore potente, che vive perfino al di là della morte.
Sono molte le riflessioni che induce un film fluviale come Storia di mia moglie: le conseguenze della gelosia e della paura sui rapporti amorosi, la precarietà dei sentimenti, la difficoltà di accettare l’altro per quello è davvero, il difficile equilibrio tra fiducia reciproca, bisogno di certezze e desiderio di autonomia.
Molti noteranno nella trama somiglianze con Doppio Sogno di Schnitzler, ma il film è molto diverso da Eyes Wide Shut: è un melodramma tout court, dalla regia elegante, la ricostruzione storica perfetta e la messinscena sontuosa.
Bravissimi sono soprattutto gli attori, a cominciare da una luminosa Léa Seydoux, che conferisce alla sua Lizzy una variegata gamma emotiva. Non è da meno l’olandese Gijs Naber, nei panni di un uomo che ha fatto della virilità la sua corazza, ossessionato dal tradimento e intransigente verso la vitalità e la libertà di sua moglie. La Enyedi porta abilmente lo spettatore a vedere il mondo attraverso gli occhi del suo protagonista, chiedendosi se i suoi sospetti verso la moglie siano fondati o meno.
Storia di mia moglie, infatti, è anche il vivido ritratto di un’epoca tutta improntata al maschile, in cui alla donna era richiesto di sottostare a un ruolo ben preciso. Un ruolo che a Lizzy sta stretto e a cui si ribellerà con un comportamento di continua sfida e provocazione verso il consorte, nel tentativo di affermare la propria autonomia di essere umano.