Dal 13 febbraio al cinema distribuito da Movies Inspired
E’ un disperato viaggio nel sottobosco criminale cinese l’ultima fatica dell’acclamato regista di Fuochi d’artificio in pieno giorno, Diao Yinan.
Il lago delle oche selvatiche non teme di ricontestualizzare i codici dei generi, mescolando dal noir al dramma esistenziale, dal thriller all’action, dal polar al melodramma: si presenta, così, come una gustosa opera ibrida che si illumina di intensi momenti contemplativi ma anche di improvvise esplosioni di violenza.
Cinema di genere e cinema d’autore si fondono mirabilmente, così come il caos e i silenzi, il rigore artistico e la passione del racconto: nulla però appare forzato, ma sempre sorprendente e multiforme.
La storia ruota attorno a Zhou Zenong (Hu Ge), membro di rilievo di una banda di rapinatori, ora ricercato per aver sparato a un poliziotto. L’uomo si rifugia, così, tra le rive di un lago, in un luogo senza legge che nasconde un’attività di prostituzione. E ad aiutarlo, mandata forse dai suoi compagni di banda, compare proprio una giovane e misteriosa “bagnante”, Liu Aiai (Gwei Lun-mei).
In una Cina dominata da miseria, soprusi e avidità, il protagonista maschile, braccato sia dalla polizia che dai suoi “colleghi”, rappresenta l’archetipo cinematografico dell’antieroe noir e romantico; al suo fianco, una femme fatale androgina, algida ed ambigua, che sembra appartenere a tutti ma resta fedele solo a se stessa.
Il lago delle oche selvatiche è girato con straordinaria abilità registica, ricordando, per potenza ed eleganza, il cinema di Johnnie To e Michael Mann, ma anche il dolente neorealismo di Jia Zhangke: un film che sa essere vibrante e immaginifico, ma al contempo fortemente concreto.
A stupire non è solo la padronanza nella composizione delle scene, ma anche il suggestivo lavoro fotografico, l’inedito montaggio e l’accurata costruzione del ritmo e della suspense.
Roberto Puntato