Il film di Taika Waititi, dal 16 gennaio al cinema distribuito da 20th Century Fox, ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale
Jojo Rabbit, il nuovo film del regista neozelandese Taika Waititi (What We Do in the Shadows, Thor: Ragnarok) è un curioso prodotto ibrido: un arguto mix di satira politica, black comedy e racconto di formazione.
Johannes Betzler (Roman Griffin Davis), detto Jojo, è un ragazzino di 10 anni che vive nella Germania nazista ormai prossima alla sconfitta. Irriducibilmente fedele al Führer, tanto da averlo come amico immaginario (Taika Waititi), Jojo non è, però, ben visto dai suoi compagni, membri della Gioventù hitleriana guidata dal Captain Klenzendorf (Sam Rockwell), che lo ritengono un codardo e gli affibbiano il nomignolo di “coniglio”. Dopo un incidente durante l’addestramento, il giovane scopre, però, che sua madre Rosie (Scarlett Johansson) dà rifugio ad una ragazza ebrea, Elsa (Thomasin McKenzie). Il rapporto che si instaura tra lui e la sua “nemica” metterà in crisi le sue convinzioni in merito al nazismo.
Se ai cinefili può venire in mente Il grande dittatore di Chaplin per gli elementi di satira politica, è in realtà al cinema di Wes Anderson (specie a Moonrise Kingdom) che guarda la nuova fatica di Waititi, raccontando un toccante coming of age dal punto di vista privilegiato dell’infanzia.
Jojo, interpretato dal giovane e bravissimo Roman Griffin Davis, filtra l’ideologia nazista attraverso il suo sguardo inesperto ed ingenuo, più desideroso di far parte di un gruppo che lo accetti, che convinto di ciò che con forza proclama.
I suoi confronti con il ridicolo Adolf Hitler interpretato da Waititi sono esilaranti, ma non costituiscono certo il fulcro della pellicola: infatti, le apparizioni dell’inedito amico immaginario gradualmente si diradano, dando sempre maggiore spazio a Jojo e alla sua presa di coscienza della vera essenza del nazismo.
Fondamentali, in tal senso, sono due splendide figure femminili: la madre Rosie, interpretata da un’ottima Scarlett Johansson, che non ha smesso di credere nella giustizia e nella libertà, e l’acuta Elsa di Thomasin McKenzie, che scatenerà la rivoluzione ideologica (e sentimentale) di Jojo.
Per il suo sesto lungometraggio, Waititi sceglie, dunque, di non affidarsi completamente alla comicità irriverente, ma di lasciare spazio alla riflessione, alla malinconia e alla scoperta, facendo toccare con mano al suo giovane protagonista gli orrori della guerra.
Ne deriva un film rischioso per la necessità di tenere in equilibrio più toni e registri, ma aggraziato, intelligente e con diverse sequenze memorabili.
Alberto Leali