Lo spin-off della saga tratta dal bestseller di Roberto Saviano arriva al cinema dal 5 dicembre con Vision Distribution
“Una storia piena di conflitti, miserie, paure“: è così che definisce la sua nuova fatica da attore, regista e sceneggiatore Marco D’Amore, celebre volto della serialità televisiva grazie al successo mondiale di Gomorra, tratto dal bestseller di Roberto Saviano.
L’Immortale, primo lungometraggio da lui diretto dopo alcuni episodi di Gomorra, si inserisce tra la quarta e la quinta stagione della serie, fungendo da raccordo e diventando un vero e proprio segmento del racconto.
Un’operazione unica in Italia e proprio per questo rischiosissima, perché chiamata a dialogare con la serie e allo stesso tempo a cambiarla, a rispettarne i codici ma a svilupparsi in autonomia.
Marco D’Amore e gli abili sceneggiatori Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli e Francesco Ghiaccio riescono a far comunicare efficacemente il passato con il presente, alternando l’infanzia di Ciro (interpretato dal bravissimo Giuseppe Aiello) e la sua educazione criminale nella Napoli degli anni ’80 e la sua nuova vita alle prese con un pericoloso business criminale nell’Est Europa.
Ne deriva un racconto epico e dominato dal senso di morte, incentrato su un uomo dall’anima lacerata e condannato alla vita. Ma anche un racconto sulla miseria e sui miserabili e su un’umanità che ha dimenticato, o forse mai vissuto, la propria infanzia.
“Ho preso spunto dalla realtà di Napoli dopo il tragico terremoto del 1980“, rivela infatti Marco D’Amore, ricordando un episodio che nella sua terra ha lasciato segni profondi e un lunghissimo strascico di illegalità, dai contrabbandieri di sigarette ai magliari, dai narcotrafficanti ai piccoli scugnizzi costretti a crescere troppo in fretta e a prendere la strada della criminalità, proprio come accade a Ciro Di Marzio.
“Non mi sono mai sentito un attore tout court, preferisco concentrarmi sulle storie e sui temi – prosegue D’Amore – Ho sentito che il personaggio di Ciro aveva ancora tanto da raccontare e che potevo alzare ulteriormente l’asticella, approfondendone lo scavo psicologico. Lo ritengo un personaggio romantico in cui convivono bellezza ed orrore“.
Il toccante viaggio di (de)formazione di Ciro bambino e la dolorosa presa di coscienza del Ciro adulto convivono armoniosamente in un film che non ha paura di deludere le aspettative del pubblico, affidandosi alla grande narrazione popolare e un comparto tecnico (scenografia, musiche, montaggio e fotografia) assolutamente perfetto.
Alberto Leali