Casablanca. La ventenne Sofia (Maha Alemi), nubile e di media estrazione sociale, rifiuta la propria gravidanza. Dopo il parto, però, la ragazza è costretta ad affrontare la propria famiglia, che vuole indurla al matrimonio con il padre del bambino, per evitarle la prigione (l’articolo 490 del codice penale marocchino prevede, infatti, da un mese a un anno di reclusione per le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio). Sofia e sua cugina Lena (Sarah Perles), di estrazione borghese, si recano, così, con le rispettive famiglie a casa di Omar (Hamza Khafif), che vive in un quartiere popolare, per convincerlo a rimediare alla sua colpa.
Passato a Un certain regard di Cannes 2018, Sofia di Meryem Benm’barek, vincitore del premio per la migliore sceneggiatura, è un’opera prima che, partendo da uno spunto socio-culturale di grande urgenza, quale il tabù marocchino delle gravidanze fuori dal matrimonio, svela in realtà le dinamiche e le contraddizioni della società capitalistica contemporanea.
Sono tanti, infatti, i temi trattati dalla Benm’barek nel suo bellissimo lungometraggio: non solo il ruolo della donna nel mondo islamico, gli impedimenti alla sua autodeterminazione e il rigidissimo decoro da tenere nei confronti della sfera erotica, ma soprattutto la disuguaglianza e la lotta fra classi sociali diverse.
La regista e sceneggiatrice scava a fondo nei paradossi di vite che si conformano a schemi rigorosamente prestabiliti e che non possono che rimediare ai propri “errori” tramite i sempre validi strumenti del compromesso e dell’ipocrisia.
Quello di Sofia è infatti il racconto di una falsità condivisa, di un’ipocrisia collettiva, di una società divisa in classi, ma unita dal perbenismo e dagli interessi economici.
E’ il ritratto di un mondo che pone al centro la famiglia e la legge, ma non è capace di guardare avanti, restando ancorato alla tradizione, alla morale e al denaro.
Così, la battaglia della protagonista per difendersi dalla sua “colpa” e i tentativi della sua famiglia per nasconderla diventano metafora di un sistema immobile e bugiardo, che soffoca la volontà individuale, non solo femminile, e l’emancipazione dei più deboli.
Sono quest’ultimi, infatti, appartenenti ai gradini più bassi della scala sociale, le vere vittime di un sistema che non lascia vie d’uscita e alcuna possibilità di ribellione.
Ne deriva un racconto morale di bruciante attualità e dolente umanità, che si tiene lontano da eccessi drammaturgici e si appoggia alle misurate interpretazioni degli attori e alla forza rivelatrice dei dialoghi.
La trama procede alternando due punti di vista, quello di Sofia, appartenente al ceto medio ansioso di crescere, che si serve dei meccanismi sociali di cui da sempre si nutre il sistema, e quello di sua cugina Lena, che ha il candore benpensante e lo sguardo distante della borghesia privilegiata.
Con uno stile di entomologica precisione che ricorda quello di Farhadi, Meryem Benm’barek realizza un’opera spietata, beffarda e sorprendente, che rompe gli schemi e si fa affresco sociale ampio e sfaccettato.
Nelle sale italiane dal 14 marzo distribuito, giustamente in lingua originale con sottotitoli (il film è parlato nel francese del ceto alto e nel marocchino di quello popolare), da Cineclub Internazionale.
Alberto Leali