Candidato a 6 Golden Globe, Vice – L’uomo nell’ombra racconta la storia di Dick Cheney, vice-presidente durante l’amministrazione di George W. Bush, ma attenzione, perché non ci troviamo certo di fronte al classico biopic politico. Alla regia c’è infatti Adam McKay, che con La grande scommessa aveva già sfornato una sorprendente satira sul mondo della finanza, entrando in profondità nei meccanismi del crack del 2008.
Vice abbraccia circa cinquant’anni di storia americana, partendo dall’amministrazione Nixon, per poi concentrarsi sulla scalata di una delle più famose power couple di Washington: Cheney e la sua intelligente moglie Lynne, infatti, domineranno nell’ombra durante l’intero governo di Bush.
Christian Bale si conferma attore camaleontico e di straordinario talento, calandosi nei panni di un personaggio complesso e rischiosissimo: quieto, silenzioso e poco appariscente, ma artefice del più grande cambiamento nella storia della democrazia statunitense, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers.
A tenergli il passo c’è una al solito bravissima Amy Adams, che interpreta una donna in gamba e ambiziosa, vera forza motrice per l’ascesa del marito. Consapevole che una donna nell’America degli anni ’60 non potrà mai arrivare al Congresso, è lei che farà scoprire allo scapestrato Dick il sapore del potere. Quel sapore che gli permetterà di trasformare la vicepresidenza, normalmente considerata una carica poco influente, in una posizione dominante sull’intera amministrazione dell’incapace Bush (Sam Rockwell).
Ma Vice non sarebbe il film geniale che è se non fosse per la sceneggiatura di McKay e lo stile contaminato, libero, frenetico, irriverente che ricalca quello de La grande scommessa.
Stravolgendo ogni convenzione narrativa, Vice utilizza la voce over dell’uomo comune americano e mette in scena tantissime trovate gustose e spiazzanti che abbattono la quarta parete (i cartelli sul tramonto della famiglia Cheney con tanto di titoli di coda, lo scambio di battute tra Dick e Lynne in inglese arcaico, tanto per citarne alcune).
Ciò fa sì che oltre a colpire duro, il film faccia anche molto ridere, ma sempre a denti stretti. Perché quella di McKay è una satira ferocissima su una società impoverita economicamente e moralmente, il ritratto impietoso della deriva dell’America (e non solo) contemporanea. Un film perfetto, da gustare minuto per minuto; al cinema dal 3 gennaio con Eagle Pictures.
Alberto Leali