Beth è una ragazza con la passione per i romanzi di Lovecraft, che si diletta a scrivere racconti dell’orrore; sua sorella Vera non apprezza questa sua inclinazione, mentre la mamma la incoraggia, manifestando verso di lei una certa stima. Le tre si trasferiscono nella vecchia casa isolata e piena di bambole di una defunta zia. Ma un travestito e uomo corpulento a bordo di un furgone dei gelati le seguono e le aggrediscono brutalmente. Quello scioccante episodio segnerà per sempre le loro vite.
La casa delle bambole – Ghostland del francese Pascal Laugier (Martyrs) è un horror multiforme e sorprendente, che pur attingendo da famosi cult (Non aprite quella porta su tutti) e topos del genere, riesce a sfoderare una personalità e una complessità tematica ammirevoli.
Il merito va soprattutto alla costruzione di un’atmosfera malata e ossessiva, che invade una vicenda che non si preoccupa di fornire troppe spiegazioni e in cui è quasi impossibile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è.
Gli slittamenti temporali, i soprassalti dal sogno alla realtà e i cambi di prospettiva immergono, infatti, lo spettatore in un incubo macabro e perverso che riserva molti brividi e interrogativi, appassionando per l’intera durata.
Senza mai risultare prevedibile, La casa delle bambole mette in scena un crudele e tormentato gioco visivo e psicologico, che induce a riflettere sulla sofferenza e la necessità di superarla e sul potere salvifico dell’immaginazione.
Sconvolgendo un plot altrimenti lineare e sfruttando efficaci espedienti narrativi, Laugier trascende il genere per scavare nel profondo dell’animo dei personaggi, colpendo per durezza, potenza espressiva e libertà creativa.
Brave anche le tre interpreti, tra cui spicca la famosa cantante Mylène Farmer nel ruolo della madre, e soprattutto Emilia Jones, nel ruolo di Beth da giovane.
Per stomaci forti, ma assolutamente da vedere. Tre premi al Festival International du Film Fantastique de Gérardmer e in arrivo al cinema dal 6 dicembre grazie a Midnight Factory, etichetta di Koch Media.
Alberto Leali