La sezione Italiana.corti del 36° Torino Film Festival comprende sei lavori di giovani autori italiani che, slegandosi dai grandi circuiti e dalla pratiche del cinema commerciale, hanno il coraggio di sperimentare nuove tecniche e nuovi linguaggi
Per chi pensa che ormai il cinema italiano non abbia più molto da dire, dovrebbe ricredersi dando un’occhiata alla sezione Italiana.corti del Torino Film Festival 2018.
Una selezione di sei opere interessanti e originali, che hanno il coraggio di sperimentare nuovi linguaggi, ma anche di utilizzare tecniche innovative attingendo, però, direttamente dal nostro patrimonio culturale.
Sei opere slegate dai grandi circuiti e dotate di un punto di vista più puramente artistico, che dimostrano che i giovani talenti italiani hanno ancora voglia di raccontare attraverso il cinema, che come diceva il Maestro Akira Kurosawa, è la completa evoluzione di tutte le altre arti.
Nella sezione Italiana.corti, sei giovani autori sfoggiano, così, un’ampia gamma di stili, che differenziano le loro opere da quelle pratiche del cinema commerciale che stanno immobilizzando il panorama filmico italiano. La loro è una ricerca estetica fuori del comune, per una risposta entusiasmante alla crisi creativa del nostro cinema.
Matteo Zamagni ci sorprende così con HORROR VACUI, un progetto ambizioso sia in ambito tecnico-scientifico che concettuale, che indaga sulle connessioni tra spiritualità e scienze ed esplora i confini tra la dimensione fisica e quella invisibile. Attraverso l’impiego di una moltitudine di tecniche di computer grafica, immagini e video reali, Zamagni propone una riflessione sullo sviluppo umano in relazione alla natura, contrapponendo paesaggi incontaminati a strutture artefatte create dall’uomo.
Una scena di HORROR VACUI di Matteo Zamagni
Giulio Squillacciotti, attualmente resident fellow presso la Jan van Eyck Academie di Maastricht, racconta invece l’intimità violata di una casa romana che sta per essere svuotata: nel suo SCALA C, INTERNO 8, uno dei traslocatori ascolta alcuni dei messaggi lasciati nella segreteria telefonica svelando, così, la storia di due misteriosi innamorati.
Gianluca Abbate si concentra sui singoli individui all’interno del caos fluttuante della contemporaneità: il suo SUPERMARKET è un invito a liberare la mente e a rilassarsi, mentre il disordine prende forma sullo schermo.
Gli oggetti (e gli aspetti simbolici loro correlati) sono al centro della ricerca di Anna Franceschini e del suo WHAT TIME IS LOVE?, che dà loro vita attraverso la videocamera, contemplandoli, isolandoli e liberandoli dal loro contesto funzionale, che però non svanisce mai completamente. L’analisi parte dalla Tuv, una multinazionale che fornisce certificati di conformità europea a merci e beni di consumo, la cui sede di Norimberga è specializzata nei test sul giocattolo e sui prodotti per l’infanzia. Qual è il prezzo da pagare perché un oggetto sia ritenuto idoneo da parte di un gruppo o di una comunità?
Alessia Cecchet utilizza vecchi film educativi e l’animazione di antiche illustrazioni per dar vita a una contronarrazione fantascientifica, da un punto di vista non umano, sui temi della conquista e della distruzione. WWW (THE WHALE WHO WASN’T) riflette sui danni provocati dall’uomo alla sicurezza e al benessere della Terra e dei suoi abitanti.
Infine, Demetrio Giacomelli con DRIVE-IN si aggira in automobile per le strade di Milano, riflettendo sull’esperienza cinematografica del parabrezza, capace di frazionare la realtà in molteplici quadri e trasformare noi stessi in mezzo filmico. Proietta così su di esso la propria biografia in forma di soggetto cinematografico.
Alberto Leali