Jafar Panahi, regista iraniano dissidente a cui il regime ha vietato di realizzare film e di lasciare il suo Paese, fa nuovamente centro con una storia potente e originale, che sfrutta con grande efficacia un’idea sorprendente.
Quella di far filmare il proprio suicidio con uno smartphone ad una giovane ragazza aspirante attrice, dopo aver più volte supplicato la star iraniana Benhaz Jafari di convincere la sua famiglia e la comunità locale a farle perseguire il suo sogno. Sconvolta, la Jafari parte insieme a Panahi alla volta del piccolo villaggio della ragazza, per capire se quel video sia o meno una messa in scena.
Tre volti, meritatissimo premio alla sceneggiatura a Cannes 71, è una riflessione lucida ed acuta sulla condizione della donna e del cinema nell’Iran di oggi. Non privo di ironia e spesso alla ricerca della leggerezza in un contesto in cui pare impossibile immaginarla, Panahi svela gradualmente le contraddizioni di un Paese che disdegna le professioni legate al cinema, ma che allo stesso tempo venera gli artisti che entrano nelle case soprattutto grazie alla televisione (vedasi l’accoglienza riservata alla star Jafari).
Attraverso, poi, la figura (mai mostrata) della diva del cinema prerivoluzionario, che come gran parte dei protagonisti di quel cinema è stata interdetta a girare altri film subendo altresì l’ostracismo del proprio villaggio, Panahi non può che identificarsi in una comune negazione dell’attività creativa voluta dal potere.
Quello di Tre volti è infatti un viaggio alle radici del fare cinema, che in Iran non può che essere un atto di rottura, specie in relazione alla figura femminile, che deve “disobbedire” per poter studiare, comprendere ed evolversi.
Passando in rassegna ataviche tradizioni, superstizioni e consuetudini, Panahi tratteggia con grazia e senza sbavature una serie di profili umani che vanno a comporre la vita e le dinamiche dei piccoli villaggi rurali che incontra durante il viaggio e che divengono metafora delle dinamiche sociali di un Paese in evoluzione.
Un po’ road movie, un po’ documentario, un po’ giallo, un po’ affresco sociale, un po’ racconto introspettivo, Tre volti è un film libero e multiforme, che gioca col cinema e i suoi inganni, ma lo utilizza al contempo per mettere a nudo una realtà tristemente dolorosa.
Riprese fisse, soggettive, naturalismo, metacinema: in Tre volti c’è tutto ciò che amiamo di un autore inarrestabile, per cui fare cinema s’identifica, oltre ogni possibilità, con la vita. Lo stesso che continua, come in Taxi Teheran, ad osservare quello che c’è fuori, e che fa male, dall’abitacolo della sua macchina, ma che quell’Iran, nonostante tutto, non ha mai smesso di amarlo. Al cinema dal 29 novembre con CINEMA di Valerio De Paolis.
Alberto Leali