Un cinema intimo e sensibile quello di Marcel Provost, che con questo ‘Sage femme- Quello che so di lei’, presentato fuori concorso alla Berilinale di quest’anno, realizza ancora una volta, dopo ‘Séraphine’ e ‘Violette’, il vibrante ritratto di due donne diversissime ma che incroceranno i loro cammini. Il suo è quel buon vecchio cinema medio francese realizzato con tanto cuore e con meticolosa cura di dettagli. A dare volto e corpo alle due protagoniste sono due mostri sacri del cinema francese, Catherine Deneuve e Catherine Frot, che ci regalano delle interpretazioni da applauso, facendoci rivivere i tremiti, le gioie e le paure dei loro personaggi. Claire, madre single e che ha cresciuto da sola suo figlio, è un’ottima ostetrica, che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro che ama, ma che rischia di perdere. Un giorno riceve una telefonata da Béatrice, che era stata l’amante del padre e che aveva sostituito sua madre prima di sparire molti anni prima. Béatrice non è, diversamente da Claire, una ‘sage femme’, ma piuttosto una donna esuberante e stravagante, che ha vissuto di eccessi: adesso, però, ha bisogno d’aiuto perché è malata di cancro e perché sente il bisogno di riallacciare i fili del proprio passato. Le due donne si trovano così a conoscersi davvero e a confrontarsi dopo molto tempo. Un film delicato e di grande intensità, giocato tutto sui contrasti: la voglia di vivere di una donna destinata alla morte (che tra amori, alcool e tavoli da gioco non si è mai pentita) contro la fredda incapacità dell’altra di godere appieno della vita; l’esuberanza passionale contro il rigido autocontrollo; l’eccesso contro la morigeratezza; il passato contro il presente; la vita (il parto) contro la morte (la malattia); il centro di Parigi contro la periferia rurale. Un film che incita a vivere serenamente e sempre in positivo la propria vita e ad accettarne i doni, belli o brutti essi siano, perché non è mai troppo tardi per un nuovo inizio. Provost segue da vicino i suoi personaggi, con partecipazione e grande trasporto emotivo e lo spettatore entra facilmente in sintonia con le due donne protagoniste, la cui quotidianità viene mostrata in tutta la sua semplicità e senza alcun artificio narrativo. Un cinema delle piccole cose, fatto di gesti, di segni, di sguardi, di tumulti emotivi tutti interiori. Un cinema che fa bene al cuore, che commuove senza essere furbo o ricattatorio e che esplora con onestà e sincerità la complessità sfaccettata dell’universo femminile, inneggiando alla solidarietà.
Alberto Leali