Montana, primi anni ’90. L’adolescente Cameron è attratta dalle donne e durante il ballo della scuola viene scoperta a fare sesso con la sua amica Coley. Viene, così, spedita nella comunità religiosa di God’s Promise, al fine di curare le sue inclinazioni.
La diseducazione di Cameron Post, basato sul best seller omonimo di Emily Danforth e film di apertura della sezione Tutti ne parlano della tredicesima Festa del Cinema di Roma, fa luce su quelle inquietanti realtà “educative”, tollerate dalle autorità statunitensi, tese alla negazione dell’identità sessuale dei “diversi”. Per comunità come la God’s Promise del film, infatti, essere gay è qualcosa da curare, alla stregua delle dipendenze da droghe o alcool.
La regista americana di origine iraniana Desiree Akhavan non mette in scena la vicenda con drammaticità, piuttosto la condisce di un’ironia che si colora di grottesco, divenendo arma rivelatrice dell’ipocrisia e dell’insensatezza di pratiche razziste e bigotte.
Seguendo Cameron e i suoi due compagni di (dis)avventure, Jane Fonda e Adam Red Eagle, all’interno del campo religioso, ne mette in risalto il lucido eppur pacato ribellismo ad un sistema che insegna ai suoi ospiti a odiare se stessi e a fingere di essere qualcun altro. Allo stesso tempo, mostra il potere subdolo e manipolatorio di certe folli strategie educative, sotto cui si camuffano solo crudeli abusi emotivi (inquietante, in tal senso, il personaggio dell’educatrice di Jennifer Ehle).
Una sorprendente Chloë Grace Moretz conferisce alla protagonista le molteplici sfumature necessarie per rendere sullo schermo il suo smarrimento identitario; lo stile del film, invece, è quello tipico del cinema indie americano, dolceamaro eppure efficacemente graffiante.
Vincitore del gran premio della giuria al Sundance Film Festival, La diseducazione di Cameron Post sarà al cinema dal 31 ottobre distribuito da Teodora.
Alberto Leali