Due spettacoli, Una ragazzata e Quasi niente, rispettivamente in scena al Teatro Torlonia e al Teatro Argentina, si propongono come lucida riflessione sul nostro presente e le sue contraddizioni
Il Teatro di Roma ospita due spettacoli che, pur nella loro diversità di stile e linguaggio, si propongono il fine di riflettere sul nostro presente e le sue contraddizioni. Entrambi lo fanno traendo ispirazione dal passato, uno da un cruento fatto di cronaca, l’altro da un celebre film del ’64.
Lunedì 8 ottobre alle ore 21, il Teatro Torlonia di Roma ospiterà Una ragazzata, il nuovo lavoro di Massimo Di Michele (Echoes), liberamente tratto dal libro Tre bravi ragazzi. Gli assassini del Circeo della giornalista e conduttrice Federica Sciarelli.
Adattato da Claudio Calò con la scrittura coreografica di Fabio Caputo, Una ragazzata fa parte di un progetto ideato da Eleonora Tedeschi, dal titolo La città nascosta, che prevede una trilogia di spettacoli basati su fatti di cronaca nera realmente accaduti e ambientati nella città di Roma.
Lo spettacolo racconta una delle pagine più nere della cronaca italiana, quella del massacro del Circeo (1975) ad opera di tre ragazzi riconducibili a gruppi di matrice neofascista ai danni delle giovani Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.
Massimo Di Michele, anche in scena assieme a Federica Rosellini, si conferma attento alla tematica della violenza sulle donne esercitata da una società ancora legata ad una struttura patriarcale. Il fine è quello di interrogarci su quanta strada è stata percorsa da allora (il fatto ha sconvolto l’opinione pubblica comportando importanti cambiamenti urbani, sociali e culturali), ma soprattutto su quanta ce ne sia ancora da percorrere.
Dal 9 al 14 ottobre debutta, invece, in prima italiana al Teatro Argentina in prima italiana, per una coproduzione tra Romaeuropa Festival 2018 e Teatro di Roma, la nuova creazione dei due premi Ubu Daria Deflorian e Antonio Tagliarini.
Con Quasi niente i due s’ispirano a uno dei capolavori di Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, per proseguire la loro ricerca intorno alla condizione di marginalità come chiave di lettura del nostro presente e forma di resistenza in sottrazione.
L’indimenticabile personaggio interpretato da Monica Vitti viene studiato per raccontare la nostra inquieta quotidianità, ma anche per riflettere sul significato del teatro e sul ruolo dell’attore. Le figure in scena sentono la fatica della propria facciata sociale e sono alla continua ricerca di intimità, consapevoli della contraddizione di farlo dinanzi a un pubblico che le guarda.
Parole, urla liberatorie, immagini, gesti di improvvisa follia, ma anche la poesia di una canzone pop ci parlano del disagio, della fragilità, delle crepe del reale, di una storia che nessuno sembra più voler ascoltare, ma che spetta al teatro portare in scena.
Alberto Leali