Julien (Guillaume Canet) e Marie (Mélanie Laurent) hanno divorziato. Un giorno l’uomo riceve un messaggio dalla ex moglie in cui viene a sapere che loro figlio Mathys di 7 anni è scomparso durante un campeggio invernale. Non disposto ad attendere i tempi di un percorso legale, Julien decide di recarsi sulle Alpi e di dare personalmente la caccia ai rapitori. Sarà una vera e propria discesa agli inferi, una lotta contro il tempo nella speranza di trovare il ragazzo ancora vivo.
Visto in anteprima alla Festa del Cinema di Roma dello scorso anno, arriva finalmente in sala dal 27 settembre grazie a No.Mad Entertainment, Mio figlio, tesissimo thriller alpino del regista francese Christian Carion.
Il film segue il percorso dell’anima di un uomo che sceglie, forse troppo tardi, di ricoprire il ruolo di padre e che, sotto il peso del senso di colpa, cercherà in tutti i modi di dimostrare di sapersi occupare della propria famiglia.
A dare volto al protagonista Julien c’è Guillaume Canet, certamente il principale punto di forza di una pellicola che, anziché raccontare il dramma di un uomo che tenta di farsi giustizia da sé, diviene analisi delle sue emozioni, della sua disperazione e di quanto queste possano spingere oltre le sue azioni.
Canet è straordinario nel trasferire sullo schermo la complessa gamma emotiva di Julien, reggendo sulle proprie spalle il pathos dell’intera vicenda. Ancora più sorprendente è il fatto che abbia girato in soli sei giorni senza aver letto nemmeno la sceneggiatura, per cercare di restituire nel modo più veritiero possibile il percorso emotivo del suo personaggio.
Si muove così in un ambiente sconosciuto e poco illuminato, scoprendo gli eventi assieme al personaggio che interpreta: ne deriva una performance impressionante, che eleva un thriller dalla trama classica ad opera arditamente sperimentale.
Lo spettatore assiste così incollato alla sedia alla scoperta del lato oscuro del protagonista, a quel quasi indescrivibile miscuglio di coraggio, ossessione e violenza che scatena in un uomo la paura di perdere una persona amata.
Il resto lo fanno la bella fotografia di Eric Dumont, gli abili movimenti di macchina e i paesaggi innevati del Vercors, che aumentano il costante senso di inquietudine, solitudine e angoscia.
Alberto Leali