L’albero del vicino (Under the Tree) dell’islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, presentato nella sezione Orizzonti della 74esima Mostra del Cinema di Venezia e al cinema dal 28 giugno con Satine Film, parte dalla descrizione di piccoli ed apparentemente banali episodi del quotidiano, per assumere via via la forma di un inquietante affresco della nostra società, ormai priva di ogni barlume di civiltà ed umanità.
L’albero del vicino mette in scena, infatti, la nascita e lo sviluppo di quel male invisibile, ma non meno deleterio, che si annida nell’animo umano, in grado di innescarsi con poco e di comportare eventi tragicamente imprevedibili. Dai piccoli screzi di vicinato all’odio più profondo, infatti, la strada è breve e tutti i personaggi del film verranno facilmente travolti da un irrefrenabile ciclone di vendetta e rivalsa.
Tutto comincia quando, a seguito della scoperta di un tradimento, Agnes caccia di casa suo marito Atli, impedendogli di rivedere la loro figlia. L’uomo si trasferisce, così, a casa dei genitori Inga e Baldvin, dove però la situazione non è certo meno tesa, a causa della presenza del bellissimo ed imponente albero di famiglia che invade con la sua ombra il giardino dei vicini, un appassionato di tiro al bersaglio e sua moglie ex modella. Nasce, così, un clima di crescente tensione e sospetto che sfocerà gradualmente in odio e violenza.
L’albero del vicino è un efficacissimo concentrato di cinismo e black humor, che ricordando il cinema di Todd Solondz e dei Fratelli Coen, svela tutto il marcio che si cela tra le ordinate villette della periferia residenziale di Reykjavík.
Hafsteinn Gunnar Sigurðsson si muove con sicurezza nei confini dell’apprezzata tradizione satirica nordeuropea, suscitando un minaccioso e costante senso di straniamento, a cui contribuiscono la macchina da presa quasi sempre immobile e la fotografia grigiastra che illumina i lindi ambienti borghesi.
Pur nella graduale estremizzazione delle situazioni, il regista trova, inoltre, il giusto equilibrio tra i momenti drammatici e quelli più gustosamente comici, mettendo in risalto le psicologie segnate dall’infelicità di ogni personaggio.
Un war movie domestico cattivissimo e spiazzante, che rappresenta certamente un’ottima occasione per (ri)scoprire il cinema islandese, purtroppo di rado presente nelle nostre sale.
Alberto Leali