Opera prima del regista David Maria Putortì, basata sul romanzo dell’argentino Adolfo Bioy Casares pubblicato nel 1969, La guerra del maiale ne mantiene intatto lo spirito, ma sceglie di spostare la vicenda ai giorni nostri, per evidenziarne tutta l’inquietante contemporaneità.
In un’Argentina in pieno periodo elettorale, in cui i giovani vengono fomentati dai media all’odio verso le vecchie generazioni, ritenute responsabili di lobbismo, corruzione e conservatorismo, la vita degli anziani è messa quotidianamente in pericolo da terribili atti di violenza in nome della “rivoluzione”. L’odio dei giovani, infatti, oltrepassa ben presto il frangente politico e si estende al concetto stesso di anzianità, considerato un cancro da estirpare in qualunque modo e ad ogni costo.
Seguiamo così la vicenda del mite Isidoro, interpretato con grande efficacia da Victor Laplace, costretto a subire le angherie di un figlio che è tra i più attivi sostenitori della cosiddetta “guerra del maiale”, ovvero la crociata contro tutti i vecchi parassiti, nemici di una società che grida superficialmente al progresso.
Il film, così come il romanzo, soverchia la retorica della vecchiaia intesa come età della saggezza e del buonsenso, degna, per questo, di rispetto e devozione. Ma se i vecchi sono vigliacchi, egoisti e voraci, i giovani sono ancor peggio: stolti, ottusi, schiavi della demagogia più deleteria e del populismo più sfacciato.
Un cinema, quello di La guerra del maiale, che sembra figlio di Marco Ferreri (non a caso alla sceneggiatura ha collaborato il grande Rafael Azcona) e di quella corrente socio-antropologica che, specie negli anni ’60 e ’70, ha esaminato la condizione dell’uomo moderno in riferimento alla sua strumentalizzazione da parte di un sistema nefando e degenere.
Ne deriva, così, il minaccioso affresco di una società pronta a sacrificare tutto ciò che è divenuto improduttivo e che ha perso, ormai, ogni barlume di umanità. Lo stile di Putortì, inoltre, si sposa perfettamente con quello del romanzo di Casares, condividendone la stessa denuncia, realistica e al contempo surreale, degli aspetti più mostruosi della natura umana.
Alberto Leali