Roma. Un’auto porta a casa un uomo con la testa ferita accompagnato da sua moglie. Li vediamo entrare nel loro bellissimo appartamento e sin dalle prime battute capiamo che lui ha perso la memoria e che pare non riconoscere neppure la donna, che tenta comunque di aiutarlo a ricordare. Pian piano, però, scopriamo che forse le cose non sono esattamente come sembrano e che forse entrambi stanno mentendo. Cosa vogliono nascondere?
Dal bestseller omonimo del francese Eric-Emmanuel Schmitt, Piccoli crimini coniugali segna il ritorno alla regia di Alex Infascelli, che, dopo film come Almost blue, Il siero della vanità e H2Odio cambia decisamente registro, mettendo in scena un teatralissimo dramma da camera che indaga impietoso nell’inferno della vita di coppia.
Due soli personaggi in scena, come su un palcoscenico, a cui danno volto e anima due tra i più validi attori italiani: Sergio Castellitto e Margherita Buy. Il regista li chiude all’interno di un appartamento privato, raffinatissimo e arredato con grande cura (e che un tempo era appartenuto niente di meno che a Silvana Mangano), e li lascia a briglia sciolta, facendo emergere bugie, crudeltà, fragilità, paure.
Sembra quasi di spiarli, di ascoltare i loro discorsi dall’appartamento accanto, cercando di afferrare qualcosa che non emerge mai completamente. Perché per tutto il film non smettiamo di domandarci chi dei due dica la verità e chi invece stia facendo il gioco sporco, restando imbrigliati con loro in un tour de force perverso e crudele, in cui entrambi i giocatori sono i tristi reduci di un sentimento che ormai si è spento.
È la solitudine, infatti, che regna in quella casa splendida ma mortifera, con le mura oscurate e le finestre da cui non si vede cosa c’è fuori: perché quell’appartamento è una tomba, la fredda tomba di un amore piegato da insoddisfazioni, rancori, compromessi, timori.
E così Piccoli crimini coniugali, come il libro da cui è tratto e a cui rimane per gran parte fedele, diviene una riflessione impietosa e non priva di ironia su una guerra di coppia che non avrà vincitori, ma solo i firmatari di un’alleanza per la sopravvivenza.
Un’opera ambigua e nerissima, inevitabilmente claustrofobica, girata con raffinatezza ed eleganza ed arricchita da una colonna sonora gustosa firmata dallo stesso regista e da David Nerattini.
Certo, siamo lontani dal coinvolgimento emotivo e dalla perfezione stilistica di opere come Carnage o Venere in pelliccia, entrambe girate da Roman Polanski ed entrambe analisi feroci sull’universo coppia e sulle sue contraddizioni. Ma pur nel suo raggelante intellettualismo, Piccoli crimini coniugali funziona e la sua confezione da thriller domestico affascina e inquieta al tempo stesso, trasmettendoci un senso di malessere e di spaesamento.
Alberto Leali