Lo scrittore, sceneggiatore e regista messicano Guillermo Arriaga a Roma per presentare il suo ultimo romanzo Il selvaggio
Si è tenuto ieri sera alla Casa del Cinema, moderato da Enrico Magrelli ed Elena Stancanelli, l’incontro con lo scrittore, sceneggiatore e regista messicano Guillermo Arriaga, giunto a Roma per presentare il suo ultimo romanzo, Il selvaggio (Bompiani).
Celebre per aver scritto la Trilogia sulla morte di Alejandro González Iñárritu che comprende Amores perros, 21 grammi e Babel, e per aver vinto a Cannes 2005 il premio per la miglior sceneggiature per Le tre sepolture di Tommy Lee Jones, Arriaga racconta la sua ultima fatica soffermandosi sui temi prediletti della sua poetica.
Messico, fine anni Sessanta. Juan Guillermo sa cosa è accaduto prima ancora che nascesse: suo fratello gemello è morto a causa sua nel ventre di sua madre. Juan Guillermo cresce con quest’ombra di morte sulle spalle: il fratello maggiore Carlos viene ucciso dagli estremisti religiosi e anche i suoi genitori ben presto moriranno. A lui non resta che cercare una vendetta per tutto questo dolore. In parallelo, corre la vicenda di Amaruq, un ragazzo il cui destino si lega in modo indissolubile a quello di un lupo nei boschi ghiacciati dello Yukon.
“Il protagonista di questo romanzo è un sopravvissuto, nato come tale a causa della morte del fratello gemello – racconta Arriaga -. Ricordo di una donna incinta che durante una cena smise all’improvviso di conversare, esclamando: “Non lo sento più, è da stamattina che non si muove!”. Non sapeva di essere diventata la bara di suo figlio, soffocato dal cordone ombelicale. Questa esperienza mi ha segnato profondamente e ho deciso di trasferirla alla mia storia. I gemelli lottano all’intero di un unico spazio, per questo tra i due c’è sempre uno dominante. Ho immaginato che in questa lotta uno diventi l’assassino dell’altro e viva tutta la vita con il peso di questa colpa. Nel caso del protagonista di “Il sevaggio”, la perdita del fratello verrà addirittura moltiplicata da numerose altre morti. Sono evoluzionista e penso che il processo embrionale riproduca l’evoluzione umana. L’uomo deve riconoscere la natura che ha dentro di sé. Gli animali non sono teneri, ma si ammazzano, ed è così da sempre, a dimostrazione che la natura è implacabile. Unisce infatti amore, morte, perdono e continua lotta”.
Ma da dove deriva il titolo del nuovo romanzo di Guillermo Arriaga? “Deriva dalla convinzione del protagonista che i prematuri siano esseri umani incompleti e quindi selvaggi. In tal senso, ha influito un articolo che ho letto tempo fa che asseriva che i feti di due settimane hanno la stessa composizione sanguigna dei rettili“.
Come tutti i personaggi di Arriaga, anche Juan Guillermo è segnato dalle cicatrici. “Sono ossessionato dalle cicatrici, forse perché il mio corpo cancella quelle che ho. Ho subito infatti varie operazioni, ma stranamente non ne ho alcun segno. Ritengo che ogni cicatrice racconti una storia e per questo mi interessa la gente che ne ha. In Messico, i giovani di classe medio alta e alta vivono in modo molto protetto ed hanno più relazioni col loro pc che con gli altri umani. Gli uomini però hanno bisogno di cicatrici, per questo si tatuano o si strappano i vestiti, per dare forma a quelle che non hanno“.
Il selvaggio è un romanzo denso e ricco di eventi, che possiede materiale a sufficienza per un film o addirittura per la serialità televisiva. Eppure Arriaga non pensa a una trasposizione in immagini.
“Credo che si tratti di un romanzo letterario al 100% e che sarebbe difficile adattarlo per il cinema o la tv. Sono fermamente convinto che la parola racchiuda l’evoluzione della specie umana e detesto quando si dice che l’immagine spesso vale più delle parole. Non sono le immagini quelle che hanno portato ai successi della nostra civiltà, ma le parole. Peraltro, esse hanno un loro specifico peso e comportano delle conseguenze Per questo, nei miei film non amo che gli attori improvvisino”.
Alberto Leali