L’8 maggio andrà in onda in prima serata su Rai 1 Aldo Moro – Il Professore, la docufiction con Sergio Castellitto che racconta i 55 giorni del rapimento del giurista italiano attraverso gli occhi dei suoi studenti
Il 16 marzo 1978, giorno del suo rapimento, l’Onorevole Aldo Moro aveva dato appuntamento davanti al Parlamento a un gruppo di laureandi per farli assistere al discorso di insediamento del Governo guidato da Giulio Andreotti. Nel pomeriggio dello stesso giorno, Aldo Moro avrebbe dovuto partecipare al Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche. Era in programma la discussione delle tesi di laurea tanto che dopo l’attacco a via Fani, nella Fiat 1300 blu crivellata di colpi, tra borse e giornali furono trovate le tesi di laurea sporche di sangue.
E’ questo il punto di partenza di Aldo Moro – Il Professore, film tv prodotto da Rai Fiction e Aurora Tv, in onda l’8 Maggio su Rai 1 che racconta i 55 giorni del rapimento Moro attraverso gli occhi e i sentimenti di quattro studenti del corso di Procedura Penale della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma.
Nella speranza della sua liberazione e nell’ansia per il suo destino, i quattro protagonisti ripercorrono il rapporto con un Professore speciale che alle lezioni in aula alternava occasioni fuori dall’Università per far conoscere ai suoi studenti la realtà della materia che insegnava.
La docufiction
La carriera universitaria di Aldo Moro iniziò a Bari appena laureato a 22 anni nel 1938. Dopo essere stato ordinario in Diritto Penale alla Facoltà di Giurisprudenza di Bari, Moro è stato docente ordinario alla Sapienza di Roma a partire dal 1°novembre 1963.
Anche nei giorni più difficili e caldi delle contestazioni studentesche, le sue lezioni erano affollate da giovani con idee e ideologie diverse.
Il rapporto con gli studenti non era limitato all’aspetto puramente accademico: oltre alla sua capacità didattica, tutti ricordano la sua personale e totale disponibilità al confronto con gli studenti e la sua capacità e volontà di coinvolgerli in continue iniziative esterne all’Università, ma attinenti ai temi civili e sociali che affrontava nelle lezioni di Procedura Penale, come visitare degli Istituti di pena.
Il punto di vista su Aldo Moro e sui giorni del rapimento viene affidata agli studenti del suo corso e in particolare a una studentessa in procinto di discutere con lui la tesi di laurea, su cui stava faticosamente e appassionatamente lavorando.
Attraverso la docufiction il racconto acquista particolare efficacia ed è possibile far emergere la ricostruzione del pensiero di Moro e il profondo senso dello Stato e della Giustizia che comunicava attraverso le sue lezioni.
Grazie alla collaborazione di Giorgio Balzoni, che ha pubblicato il libro Aldo Moro Il Professore, e alla testimonianza di chi è stato suo allievo soprattutto negli anni Settanta, la docufiction ricostruisce il clima di quel periodo e il pensiero di Moro attraverso la riproposizione di frammenti di lezioni, discussioni nelle aule, esperienze vissute collettivamente.
Attraverso le speranze di giovani che vogliono che Moro sia liberato non solo per motivi umanitari, ma anche perché hanno condiviso con lui un percorso formativo che viene spezzato, come viene spezzata la loro giovinezza, la docufiction comunica come in quei giorni il dolore e l’angoscia generale vengano vissuti.
Era talmente forte il rapporto che Moro aveva creato con i suoi studenti che indirizzò a loro una sua lettera dalla prigionia, porgendo loro “il suo saluto affettuoso e il rammarico di non poter andare oltre nel corso”.
La sceneggiatura è stata scritta da Franco Bernini, che oltre a essere uno dei migliori autori italiani, con grande esperienza anche di tematiche politiche, in quegli anni era laureando in filosofia.
Il coordinamento editoriale è di Giovanni Filippetto, mentre la regia è Francesco Miccichè: i due hanno già realizzato insieme con grande capacità le due docufiction realizzate da Rai Fiction e Aurora Tv.
Note di regia
Dopo Paolo Borsellino – Adesso tocca a me, il nostro gruppo di lavoro affronta un altro grande “mistero” italiano, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Sono convinto che i luoghi hanno un’anima. Con questa idea, condivisa con Giannandrea Pecorelli che assieme a Tinny Andreatta è il vero appassionato animatore di questi approfondimenti sulla storia del nostro paese, abbiamo fortemente voluto girare nei luoghi dove Moro insegnava realmente. Abbiamo quindi ambientato le scene della nostra docufiction nelle aule, nei corridoi e nei giardini della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, luogo dove c’è stato anche l’omicidio di Vittorio Bachelet, altro professore ucciso senza pietà dalle Brigate Rosse nel 1980.
L’anima di un luogo si trasmette tramite le emozioni di chi lo attraversa. Volevamo che Sergio Castellitto (straordinario e per me impareggiabile interprete di Aldo Moro) e i ragazzi che interpretavano gli allievi del professore sentissero attraverso quelle mura, aule e corridoi, la vita di quegli anni, e che sentissero anche le contraddizioni e la durezza di quel difficile periodo.
Raccontiamo nel nostro film che in quei corridoi pieni di fermento, il professore aveva l’abitudine, dopo la lezione, di fermarsi a parlare con i suoi studenti e non solo di diritto. Era per lui un modo di sentire il polso della società e di capire i mutamenti e le istanze dei più giovani, vero motore del futuro. Lì Moro spiegava loro che la politica non era un lavoro ma un servizio reso alla società, e che il suo vero lavoro era fare il docente. Infatti pensò in più occasioni di lasciare il “palazzo” per dedicarsi all’insegnamento. Ai suoi ex studenti (come Giorgio) e ai suoi collaboratori universitari (come Saverio Fortuna) piace ancora oggi pensare che, se fosse uscito vivo dalla prigionia delle BR, avrebbe lasciato la politica e si sarebbe dedicato alla docenza.
Ecco, i muri di Scienze Politiche contengono ancora le convinzioni e le idee del professor Moro. Noi girando lì gli abbiamo solo ridato voce.
Quel che è stato subito evidente sin dalle prime stesure del copione di Franco Bernini, al quale ha collaborato lo stesso Giannandrea, io e Giovanni Filippetto, che ha curato anche le interviste, è che la visione del carcere e della pena che il professor Moro insegnava ai suoi studenti era una grande possibilità narrativa se vista in rapporto alla detenzione e la pena che lui stesso fu costretto a subire dalle Brigate Rosse.
Moro aveva una visione umanitaria della reclusione e quindi non solo era contro la pena di morte ma anche favorevole all’abolizione dell’ergastolo, perché lo vedeva privo di speranza e perché il fine ultimo della pena (ma questo lo dice chiaramente anche il nostro ordinamento!) è la rieducazione e la riabilitazione e non certo l’afflizione. Quest’uomo, che aveva quindi un grande senso etico (e forse profondamente cristiano) della misura della pena, è stato costretto a vivere quasi due mesi in un “carcere del popolo” e a subire la più terribile delle condanne, la pena di morte. Questo il motivo per cui Moro professore-Moro prigioniero è diventato il nodo centrale della drammaturgia del nostro racconto.
C’è poi una questione che riguarda i giovani che hanno partecipato a questo film, e quelli che speriamo lo vedranno. Moro e quel periodo complicato che sono stati gli anni 70, per la generazione dei nostri giovani sono una specie di buco nero. Ne sanno molto poco, quasi nulla. Che si potesse uccidere o essere uccisi, o mettere a repentaglio la propria vita per delle ideologie è stata per loro una vera e propria scoperta.
Il pensiero credo condiviso da noi autori è che questo vuoto storico e di conoscenza vada colmato. I più giovani devono sapere quale è la storia da cui vengono, e che il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro hanno influito in maniera determinante sulla storia della nostra fragile Repubblica. Devono sapere che le forze che hanno messo in atto, o non impedito, quella terribile esecuzione sono sempre in agguato.
Francesco Miccichè
Zerkalo Spettacolo