Arriva l’attesissimo cinecomic dei fratelli Anthony e Joe Russo, vero e proprio punto d’arrivo di un decennio di avventure Marvel al cinema. Le aspettative non sono deluse, perché Avengers: Infinity War è una sorpresa continua, l’episodio certamente più ricco, denso e complesso della saga. Ma anche il crossover più ambizioso e rischioso che il cinema commerciale abbia finora realizzato, capace di dosare alla perfezione spettacolo e introspezione, dramma e ironia, toni da tragedia shakespeariana e turbinio di effetti speciali.
In questo diciannovesimo capitolo, gli Avengers, divisi dopo gli eventi di Captain America: Civil War, rimettono insieme le forze per far fronte al villain più spietato e potente di tutti, il dittatore alieno Thanos (Josh Brolin), determinato a impossessarsi delle Gemme dell’Infinito, che gli garantirebbero il controllo totale della realtà e la possibilità di sovvertire completamente le sorti dell’Universo.
Il film è, quindi, una grande riunione di famiglia, un’operazione titanica che accorpa con grande equilibrio e abilità tutti i personaggi della Marvel, dando il giusto spazio ad ognuno. Come è ovvio immaginare, mettere insieme un gruppo così vasto ed eterogeneo di eroi con caratteri ben definiti è uno degli elementi di maggiore godimento (e rischio) di questo diciannovesimo capitolo, che proprio nell’interazione fra i personaggi ha i suoi più spiccati momenti di divertimento.
La sceneggiatura di Christopher Markus & Stephen McFeely è eccezionale nel dosare apparizioni, integrazioni e cortocircuiti, così che tutto ciò che vediamo appare al suo posto, senza mai risultare forzato. E’ uno spasso assistere, ad esempio, alla bizzarra fusione dei Guardiani della Galassia con il resto dei supereroi, agli scambi al vetriolo tra i due egocentrici Stark e Strange, o agli scontri testosteronici tra Star-Lord e Thor.
Ma Avengers: Infinity War, nonostante i numerosi ed efficacissimi momenti di ironia, è certamente l’episodio che più di tutti è segnato da toni fortemente drammatici, intriso com’è di morte, distruzione e sacrificio. E non ci riferiamo solo alle belle e spettacolari battaglie corali, ma ad un ineluttabile senso del tragico che pervade l’intera opera e che va a sfociare in un finale sorprendente e spiazzante. Molti saranno, infatti, i personaggi che dovranno sacrificare ciò che più amano in nome di un bene superiore: padri, figli, figlie, amanti, buoni, cattivi, legati da rapporti profondi, ma segnati dalla caducità.
L'”eroe” tragico per eccellenza di Avengers: infinity War è, però, proprio Thanos, che non ha affatto le solite caratteristiche del villain Marvel, ma è un personaggio tridimensionale e psicologicamente complesso, che orienta le proprie azioni su un’etica opposta a quella dei protagonisti, ma niente affatto egoistica.
Non ci troviamo di fronte, quindi, al classico scontro del bene contro il male, di democrazia contro autocrazia, ma a due visioni contrapposte di come debba essere la società e di come si debbano risolvere i problemi del mondo. Thanos è infatti convinto di operare nel giusto e per il bene del mondo, pur se con metodi drastici e terribili: quello che compie nel film è un percorso introspettivo, da cui emerge una personalità contorta, distorta, fragile, affascinante.
Insomma, con Infinity War la Marvel dimostra ancora una volta di non limitarsi ad offrire mero intrattenimento cinematografico, pur se ai suoi massimi livelli, ma di realizzare storie complesse, nient’affatto omologate e che non temono di osare.
Lo dimostra ampiamente l’azzardo che si gioca con il finale, che fa sperare che gli assi nella manica per il sequel di Infinity War saranno ancora più sbalorditivi. Per ora, in termini di epica, Infinity War si erge ad inevitabile punto di riferimento per i film futuri, un paragone dal quale sarà impossibile prescindere.
Alberto Leali