Nicole (Antonia Liskova) vive in un’isolata villa di montagna con la figlia Lucy (Linda Mastrocola), una bambina introversa, con cui ha un rapporto conflittuale. Roman (Michael Neuenschwander), suo marito, colpevole di aver messo a repentaglio il loro matrimonio con un tradimento, è una presenza incostante, ma è adorato dalla bambina. Nicole è frustrata, schiava dell’alcool e ossessionata da visioni oscure e inquietanti fenomeni che sembrano minacciare la vita di sua figlia.
E’ cinema d’autore nella sua definizione più nobile Parlami di Lucy di Giuseppe Petitto, documentarista calabrese scomparso prematuramente nel 2015: un film anomalo, spesso straniante, ma certamente prezioso nell’attuale panorama del cinema italiano.
Sogni inquietanti, presenze minacciose, fenomeni angoscianti turbano la serenità materiale e psichica della protagonista, un’ottima Antonia Liskova, che torna finalmente a interpretare un ruolo degno delle sue doti attoriali. L’attrice di origine slovacca è, infatti, bravissima nel rendere l’evoluzione del suo personaggio, rivelando gradualmente il dramma rimosso e l’umanità sofferente sotto l’apparente scorza da fredda borghese.
Claustrofobico, cupo, tormentato, Parlami di Lucy gioca con raffinatezza coi topos del cinema di genere e, sfruttando alla perfezione spazi ed ambientazioni (l’isolata villa di montagna, i sentieri e le pietraie delle Alpi), mette in scena il complesso travaglio interiore della protagonista.
Un film tanto fascinoso quanto inafferrabile; un puzzle i cui pezzi non tornano affatto al loro posto, ma che ha proprio nell’incompletezza e nella non linearità i suoi punti di forza.
Carico di simbolismi, che vengono disseminati nella contorta struttura temporale, Parlami di Lucy è un film lento e sinistro, che, pur non dosando sempre al meglio la suspense, coinvolge per le riuscite atmosfere e per il costante alone di mistero che lo avvolge.
Un po’ thriller, un po’ horror, molto dramma psicologico (qualcuno penserà a The Others di Amenábar), Parlami di Lucy è un film sorprendente, capace di trasmettere allo spettatore lo stesso malessere e la stessa angoscia della protagonista nel suo impervio percorso di (ri)scoperta della verità. Una verità insopportabile, ma che dovrà imparare ad accettare.
Alberto Leali