Chloé (Marine Vacht) ha un dolore al ventre che non passa, nonostante l’assenza di patologie. Decide così di sottoporsi a un percorso di psicanalisi e finisce per innamorarsi del suo analista, il premuroso e affettuoso Paul (Jérémie Renier). Quando, però, i due vanno a vivere insieme, Chloé scopre che l’uomo le nasconde un segreto: ha infatti un fratello gemello, anche lui psicanalista, di nome Louis. Chloé decide allora di conoscerlo e tra i due scoppia la passione.
E’ sin dagli esordi che François Ozon esplora il tema, molto caro al cinema, del doppio: stavolta sceglie di adattare il romanzo breve della prolifica Joyce Carol Oates, Lives of the twins, raccontando più che la vita di due gemelli (maschi), ciò che accade nella testa di una donna “a metà”. Al centro di Doppio amore c’è infatti l’analisi dell’intimità più profonda della donna, che parte dal sesso (il film si apre con una ripresa dell’interno della vagina della protagonista) per poi raggiungere gli anfratti dell’anima.
Ozon esplora, così, l’ambiguità della natura umana, i caratteri dominanti e recessivi nascosti in ognuno di noi, ma anche i desideri e le pulsioni che non abbiamo il coraggio di ammettere e che fanno male (vedasi il dolore alla pancia della protagonista).
L’affascinante tema della gemellarità parassita si presta, oltre che a metafore, a molteplici riflessioni, che, a ben vedere, sono le stesse a cui il regista francese è da sempre legato: il sesso, il desiderio, la frigidità, l’omosessualità latente, il gioco tra realtà e finzione.
Tutto nel film è insistentemente riflesso, specchio, gemello, doppio: i due psicoterapeuti e fratelli, le due madri, le due figlie, i due gatti. E’ su questo che Doppio amore costruisce il suo impianto visivo e narrativo, facendo emergere la frattura, il vuoto emotivo della protagonista e la sua ansia legata al sesso. A ciò contribuisce anche la scelta di insinuare morbidamente la macchina da presa all’interno di lussuosi e freddi appartamenti borghesi, così come nelle eleganti e asettiche sale di un museo di arte contemporanea.
Ma il nuovo lavoro di Ozon è soprattutto un mix gustoso di erotismo (con diverse scene choc) e citazioni cinefile (a cominciare dall’inquadratura della scala a spirale dell’inizio), che lo spettatore si divertirà a scovare all’interno di una trama di genere tesa, intrigante e perversa. Da Alfred Hitchcock a Brian De Palma, da Orson Welles a David Cronenberg, da Fritz Lang a Roman Polanski, da David Lynch a Luis Buñuel: Doppio amore è a tutti gli effetti un divertito e appassionato atto d’amore verso il cinema.
C’è da dire, però, che come thriller psicologico funziona meglio che come film d’autore, perché se lo spettatore rimane sulla corda dall’inizio alla fine grazie al ritmo dinamico e a uno sviluppo narrativo affatto banale, è vero anche che Ozon ci ha abituati a opere ben più complesse e profonde di questa.
E se non si discute sui pregi formali, sono altrettanto innegabili il compiacimento, la furbizia e una certa superficialità, in particolare nella descrizione psicologica del personaggio di Chloé, interpretato da una Marine Vacht bellissima ma artefatta (accompagnata, invece, da un sempre notevole Jérémie Renier). Eppure Chloé resta forse uno dei personaggi femminili più forti e sfacciati del cinema di Ozon, con la sua passionalità raggelata e il suo inquietante tormento.
Magari per molti sarà un vacuo esercizio di stile, ma Doppio amore dimostra ancora una volta l’inconsueta disinvoltura del cinema di Ozon, capace di spaziare attraverso i generi filmici più eterogenei, senza paura di osare, eccedere o sfiorare il ridicolo.
Roberto Puntato