Mario Cavallaro (Antonio Albanese) è un abitudinario e triste cinquantenne milanese, che lavora in un sofisticato negozio di calze ereditato dal padre. Davanti alla sua bottega, si piazza, però, il senegalese Oba (Alex Fondja), che vende calzini a poco prezzo facendo più affari di lui. Mario decide, così, di risolvere il problema, rapendo Oba e riportandolo a casa in macchina, in un folle tragitto Milano-Senegal. Le cose si complicano, però, quando al viaggio si aggiunge la bella Dalida (Aude Legastelois), sorella di Oba, per cui Mario sembra provare una certa attrazione.
Un viaggio paradossale è al centro della quarta regia di Antonio Albanese, che con Contromano sceglie di raccontare le contraddizioni e le paure del nostro Paese dinanzi al tema più controverso del decennio: l’integrazione tra società e popoli diversi.
La sceneggiatura di Albanese, Stefano Bises e Andrea Salerno non opta, però, per la commedia ridanciana, ma per una riflessione agrodolce che nasce da un delicato equilibrio tra realtà e follia.
Contromano è infatti una fiaba positiva, con al centro un piccolo eroe della nostra quotidianità, che impara a mettere da parte nevrosi e pregiudizi e ad aprirsi all’altro, dando pienezza alla propria vita.
Così, un piccolo borghese intrappolato nella sua ordinata routine lavorativa, rotta solo dalla cura di un piccolo orto domestico e da qualche chiacchiera con la vicina, darà una svolta alla propria vita grazie ad una surreale “vacanza umanitaria”.
Se, però, la prima parte di Contromano, quella non on the road, è ironica e anche un po’ cattivella, la seconda si fa man mano sempre più prevedibile, scegliendo, purtroppo, percorsi narrativi facili e già visti.
Pur se l’importante messaggio arriva forte e chiaro (l’incontro tra due esseri umani/popoli deve partire dal dialogo e dall’esperienza), Contromano è un film da cui ci si sarebbe aspettato di più, perché Albanese non è certo un autore alle prime armi, ma dotato di intelligenza e inconfondibile verve comica.
Con Contromano, invece, pare adagiarsi su percorsi già ampiamente battuti dal nostro cinema attuale, sposando una medietà che appiattisce e indebolisce. E se l’intento era quello di raccontare con leggerezza e in modo diverso un tema così urgente come quello dell’immigrazione, il film, pur se garbato e godibile, non riesce ad essere incisivo e si dimentica presto.
Alberto Leali