Dopo il buon riscontro di critica e pubblico con l’inedito indie horror ‘Troll Hunter’, il regista norvegese André Ovredal torna al genere con il suo primo lungometraggio in lingua inglese, ‘Autopsy’, storia di un padre e di un figlio che lavorano nello stesso obitorio e che si trovano di fronte al misterioso cadavere di una giovane, che scatena strani e terribili avvenimenti. Utilizzando con ammirevole abilità gli elementi classici del genere (location claustrofobica, pochi personaggi che non riescono ad uscirne, luminosità scarsa, temporale all’esterno, motivetto sonoro ricorrente), Ovredal realizza un horror teso e appassionante, che si distingue per l’atmosfera sordida e inquietante. Con una regia tesa ed empatica, il regista norvegese ci guida verso il disvelamento di una vicenda dai contorni soprannaturali, attraverso le scoperte sempre più oscure dei due bravi protagonisti, Brian Cox ed Emile Hirsch, alle prese con personaggi credibili e ben sviluppati nelle loro psicologie. Da un lato, infatti, c’è il padre esperto e stacanovista, dall’altro il figlio alle prime armi, che si impegna ma sente anche il peso di un lavoro che non gli piace. Camminando in punta di piedi sul labile e pericoloso confine fra vita e morte, i due si troveranno a mettere in discussione tutte quelle certezze scientifiche su cui si basa la loro attività. Immobile e bellissimo, è in scena per tutta la durata del film il corpo bianco e apparentemente intatto di Jane Doe, forse l’elemento più inquietante e affascinante della pellicola. Qualche problema, invece, si riscontra nella sceneggiatura di ‘Autopsy’, che non sempre chiarisce tutti gli interessanti elementi offerti della trama: in particolar modo, il finale, pur se interessante, appare piuttosto sbrigativo, non mantenendo fino in fondo le promesse e necessitando forse di un maggiore sviluppo. Il film di Ovredal rimane comunque superiore alla media dei prodotti dell’orrore che pullula nel mercato cinematografico odierno: non il classico horror fotocopia, dunque, ma un b-movie ben fatto, che non entrerà negli annali, ma che ci farà trascorrere un’ora e mezza più che piacevole, rendendoci speranzosi verso il prossimo lavoro di questo talentoso regista.
Alberto Leali