Dal 6 al 18 marzo al Teatro India in scena l’Occidente in cui deflagrano tensioni politiche, sociali e culturali, con DISGRACED, dell’autore americano di origini pakistane, Ayad Akhtar, Premio Pulitzer 2013, tradotto e diretto da Jacopo Gassmann, coproduzione Teatro di Roma e Teatro della Tosse di Genova per uno spettacolo sulla difficile e necessaria convivenza fra le diverse identità etniche. Una tesa osservazione delle relazioni fra sessi, amori, amicizie, rivalità, in una seduta a cena tra quattro amici, con in tavola più religioni, che esplode in un violento conflitto, dove le tensioni culturali svelano le reciproche (seppur nascoste) intolleranze, ipocrisie.
DISGRACED, uno dei testi più complessi di Ayad Akhtar, tra i maggiori successi drammaturgici degli ultimi anni, è una moderna tragedia greca, ambientata in una Manhattan ricca, colta e liberale, che Jacopo Gassmann porta in scena assegnando i ruoli dei protagonisti ad attori che appartengono realmente alle etnie descritte, aumentando così l’effetto realistico.
Educato e cresciuto in America, ma di origini pakistane, Amir è un avvocato di successo che vive in modo contraddittorio la sua identità: la cultura islamica che porta dentro sembra in conflitto con il suo ideale laico del quotidiano, tanto da farlo allontanare dalle sue radici culturali. Fino a quando lui e sua moglie Emily, una pittrice newyorchese che porta avanti una ricerca su temi islamici, decidono di invitare a cena una coppia di amici, Jory, un’afroamericana, e il marito ebreo, il noto curatore d’arte Isaac. Quella che comincia come un’amichevole conversazione velocemente si trasforma in un acceso confronto su alcune delle più complesse questioni del dibattito politico e religioso contemporaneo. In un perfetto meccanismo drammaturgico, i rapporti umani fra i protagonisti ne verranno profondamente modificati.
Il dramma di Amir si scatena quasi senza preavviso durante questa cena tra amici che, tra commenti e domande, fanno emergere il suo dissidio interiore. “Disgraced è un testo di chiara matrice americana, soprattutto nella misura in cui ognuno dei personaggi, a suo modo, sente fortemente sia il desiderio che la pressione di doversi allineare a un certo modo di essere dettato dalle narrazioni dominanti, che spesso costringono le minoranze ad interiorizzare un senso di oppressione: “la doppia coscienza”, come diceva Du Bois, “questa particolare sensazione di guardarsi sempre attraverso gli occhi degli altri” – racconta Jacopo Gassmann – Ed è all’interno di questo orizzonte, così fortemente esacerbato in seguito agli eventi dell’11 settembre, che l’autore esplora quanto profonde possano essere le contraddizioni e le difficoltà di rappresentazione di sé per chi proviene da altri retaggi culturali e sta oggi cercando una sua identità nel nuovo paese d’adozione, come Amir Kapoor, moderna figura shakespeariana. È l’autore stesso a fornirci un viatico al testo: “Vedo l’esperienza Americana come un qualcosa che è definito dal paradigma di rottura e rinnovamento, tipico del migrante: la rottura con il vecchio mondo, le vecchie abitudini, e il rinnovamento del sé in un luminoso ma difficile Nuovo Mondo… Noi celebriamo il rinnovamento ma non riusciamo ad elaborare la rottura. Questo fallimento indica la grande solitudine della vita americana. In uno scacchiere politico in perenne mutazione, sempre più soggetto a cicliche eruzioni di rabbia e irrazionalità, le identità conflittuali così palpabili in questo testo ci dimostrano quanto forte sia il disorientamento e quanto fragile possa essere la natura della tolleranza. L’elemento che però, in ultima analisi, rende questa opera particolarmente viva (e toccante, a mio avviso) è la capacità dell’autore di porsi in ascolto di ciascuno dei suoi personaggi, avvicinandoli a noi nelle loro imperfezioni e vulnerabilità, nelle loro paure e contraddizioni. In questo modo non si può non arrivare a comprenderli, anche quando le differenze ideologiche sembrano mettere in scacco sia il loro che il nostro punto di vista. Ayad Akhtar è un vero autore proprio nella misura in cui il suo teatro, nel chiamarci a una complessa verifica del nostro presente, non smette mai di rivelarci qualcosa di noi stessi”.
Lo spettacolo di inserisce nel percorso di stagione TRITTICO DELLE RELIGIONI, un affondo nel complesso rapporto tra le fedi religiose e il mondo odierno, con uno sguardo alle radici della nostra civiltà, che ha proposto all’Argentina Il giorno di un Dio con cui Cesare Lievi intesse dodici frammenti scenici alla ricerca dell’eredità rimasta dalla pubblicazione delle “95 tesi” contro le indulgenze papali di Martin Lutero; mentre all’India Heretico della compagnia Leviedelfool, tra religione e scienza, porta in scena sette tracce musicali e altrettanti brani abitati da tre attori e una danzatrice.
DISGRACED
di Ayad Akhtar
traduzione e regia Jacopo Gassmann
con Hossein Taheri (Amir), Francesco Villano (Isaac), Lisa Galantini (Emily), Saba Anglana (Jory), Marouane Zotti (Abe)
luci Gianni Staropoli – video Alfredo Costa – scene Nicolas Bovey – costumi Daniela De Blasio
assistente alla regia Mario Scandale – assistente scenografa Nathalie Deana
Produzione Teatro di Roma e Fondazione Luzzati -Teatro della Tosse
Joseph Jefferson Award nel 2012 come miglior Nuovo testo
Obie Award 2013 per la Drammaturgia
Jacopo Gassmann
È nato a Roma nel 1980. Si laurea (Bachelor of Arts) in regia cinematografica alla New York University e, in seguito, consegue un Master of the Arts in regia teatrale alla Royal Academy of dramatic arts di Londra. Durante la permanenza negli stati Uniti frequenta corsi di regia teatrale e cinematografica in diverse università americane (Harvard, UCLA) e realizza diversi lavori (corti, video-arte) tra cui About the house (2004, da un’opera di Julio Cortazar, “competizione video cineasti del presente” al Festival del film Locarno). È autore di documentari tra cui: La Voce a te dovuta, presentato ai festival di Locarno, Cinemed Montpellier, Istanbul, Montreal New Cinema New Media, FIC Brasilia; Il più bel gioco del mondo, presentato in Campidoglio a Roma e al Genova film festival. Nel 2005 cura insieme a Luca Sossella e firma la regia teatrale dello spettacolo Il minore ovvero preferirei di no con Roberto Herlitzka, sulla vita e l’opera di Ennio Flaiano (in scena all’Auditorium Parco della musica di Roma e ripreso nel 2008). Negli anni successivi è responsabile delle selezioni artistiche del DocFest Palazzo Venezia (documentari sull’arte e sulla musica) e del Sole e Luna Doc Fest a Palermo (documentari sul Mediterraneo e sull’Islam), traduce e adatta numerosi testi teatrali dall’inglese all’italiano e collabora come docente con il Centro Sperimentale di Regia di Milano. Tra il 2010 e il 2012 vive a Londra, dove dirige lo spettacolo Nocturnal di Juan Mayorga (presso il John Gielgud Theatre RADA di Londra) e lavora presso il dipartimento di drammaturgia del Soho Theatre. Nel 2013 firma la regia teatrale de La Pace Perpetua di Juan Mayorga al Teatro Belli di Roma. Lo spettacolo è stato ripreso nel 2014 per una tournée italiana (circuito AMAT Marche, Teatro Verdi di Padova, Elfo Puccini di Milano). Nel 2015 inaugura la rassegna Trend Nuove Frontiere della Scena Britannica, firmando la traduzione e la regia di Confirmation di Chris Thorpe con Nicola Pannelli. Lo spettacolo è stato successivamente messo in scena in diverse città italiane. Nel 2016 traduce Bull di Mike Bartlett per il Teatro Franco Parenti e cura la traduzione e regia di There has possibly been an incident di Chris Thorpe per Trend XV. Nel 2017 dirige Disgraced di Ayad Akhtar, vincitore del premio Pulitzer 2013, per una coproduzione tra Teatro della Tosse e Teatro di Roma. Lo spettacolo ha debuttato in estate alla Milanesiana e girerà l’Italia la prossima stagione. Nell’autunno 2017 in tournée con Confirmation e There has possibly been an incident, un dittico sul teatro di Chris Thorpe. È curatore della collana di teatro contemporaneo Green Room per Luca Sossella Editore.
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