Prima giornata del Rendez-Vous, il festival del Nuovo Cinema Francese, all’Institut français Centre Saint Louis con il focus sull’attrice Clotilde Courau. A precedere il suo incontro col pubblico del festival, viene proiettato ‘L’ombre des femmes’, il nuovo film del maestro del cinema d’introspezione Philippe Garrel, padre dell’attore Louis, anch’egli tra i protagonisti di questa settima edizione, e autore di capolavori come ‘J’entends plus la guitare’, ‘Les baisers de secours’ e ‘Le vent de la nuit’. Scegliendo nuovamente la coppia come prediletto terreno di indagine e affidandosi stavolta ai volti degli intensi Stanislas Mehrar e Clotilde Corau, Garrel ci regala un altro film profondissimo ed emozionante. Consueti anche l’uso dello splendido bianco e nero di Renato Berta e della pellicola 35mm, ma anche la scelta del ‘film nel film’, del protagonista regista (costante elemento autobiografico) e della coppia che si separa ma che non riesce a superare l’allontanamento. Ciò che fa la differenza rispetto al passato è invece la scelta di una sceneggiatura molto più rigorosa, affidata stavolta al veterano e bunueliano Jean-Claude Carrère. Una voce over racconta le azioni e i pensieri dei personaggi con un’ironia insolita per un lavoro di Garrel, facendo luce su contraddizioni e paradossi e donando al film un tono leggero e malinconico, quasi da commedia alleniana o ancor più rohmeriana. ‘L’ombre des femmes’ appare infatti più tenero e rasserenato di altre opere del suo autore, nonostante le complesse e dolorose dinamiche che muovono i rapporti amorosi restino le stesse descritte con acume nella sua meravigliosa filmografia. E così il reiterato tradimento, da mezzo affermativo della libertà individuale, diviene invece il bisogno insopprimibile di stringersi alla persona che si è tradita. Pierre è un regista di documentari a basso costo e ne sta girando uno su un eroe della Resistenza. Sua moglie Manon, che per lui ha rinunciato alla propria carriera, lo aiuta come segretaria e montatrice. L’incontro con la giovane stagista Elisabeth, a cui fa seguito una forte attrazione reciproca, spinge Pierre a iniziare una relazione con lei. Ma anche Manon, nel frattempo, inizia a frequentare un altro uomo, solo che Pierre, scopertolo, non riesce a sopportarlo. L’uomo dei film di Garrel è per natura ingabbiato in una meschina e inappagante apatia che lo spinge all’egoismo, al tradimento e all’ipocrisia; per amare, come più in generale per vivere (e per fare cinema, nel caso di Garrel), deve accettare, anche se con frustrante consapevolezza, di essere insincero e ingannevole. E così Pierre e Manon, innamorati ma pronti a (ri)tradirsi, si mentono, ma restano assieme, perché non possono e non riescono a fare altro. Al solito, passato e presente, politica e sentimenti, città e stanze anguste convivono in sottile equilibrio in un’opera intima e disillusa, ironica e crudele. I fan del regista non possono che rimanere incantati da una grazia che non ha perso un briciolo della sua illuminante potenza, e la mente torna a capolavori della Nouvelle vague come ‘Jules et Jim’ o ‘La mamain et la putain’.
È la volta, poi, del bell’incontro con Clotilde Courau. La prolifica attrice, che ha iniziato a fare cinema nel 1990, a 18 anni, in un film di Jacques Doillon con cui ha vinto subito un premio a Berlino, parla del mestiere di attrice. ‘Essere attrice significa per me mettersi al servizio del racconto e soprattutto del regista, fondersi nel suo universo per diventare camaleontica, entrando in tanti personaggi diversi, ma alla fine aggiungendoci sempre qualcosa di me stessa. Perché il cinema è un’avventura umana che si condivide sul set a partire dalla creazione e del lavoro di un autore. Nel caso del personaggio di Manon, ad esempio, siamo diverse, ma abbiamo in comune la stessa resistenza‘. Continuando a parlare de ‘L’ombre des femmes’, afferma: ‘Quando ho incontrato Philippe Garrel avevo voglia di lavorare con un autore vero, per rinnovare la mia anima di attrice. È stata un’esperienza unica perché Garrel intende il cinema come arte più che come industria ed oggi ciò è sempre più raro’. Del suo percorso artistico dice: ‘Ho iniziato giovane a teatro con la compagnia di Francis Huster, il cinema è venuto dopo; ho sempre avuto una gran passione per le donne forti e col fuoco negli occhi come Anna Magnani o René Falconetti. Proseguo però anche il mio percorso teatrale e dopo ‘Irma la douce’, sono ora in scena con ‘Piaf”. La Courau evidenzia inoltre le difficoltà del cinema odierno, ma ricorda che in molti paesi in cui non sono più presenti strutture produttive, ci sono tante idee che rendono possibile la creazione di opere belle e importanti: si pensi all’America Latina, ad Israele, all’Asia. ‘Se si considerano invece Paesi come la Francia, la dimensione burocratica spesso va a discapito dell’opera artistica, oltre al fatto che c’è una certa distanza dei governi dall’educare al cinema le nuove generazioni. Nonostante ciò, va detto con orgoglio che il governo della Francia difende da tempo l’importanza della cultura, attraverso le sue numerosissime coproduzioni. Ma si può continuare a fare del cinema anche senza aiuti del governo, come fa Philippe Garrel d’altronde. Grazie anche alle nuove tecnologie, inoltre, ci sono molte più donne nel mondo del cinema, che occupano posizioni prima considerate di dominio maschile’, continua la Courau. Alla domanda quali registi e attori italiani preferisca, l’attrice afferma: ‘Tra i registi italiani mi piacciono Luca Guadagnino e Matteo Garrone, con cui mi piacerebbe molto lavorare. E mi piacerebbe anche fare un film con Valeria Bruni Tedeschi e con Valeria Golino, due donne e attrici che amo’. Clotilde Courau conclude l’incontro parlando del secondo film presentato questa sera all’Institut Centre Saint-Louis, ‘Le ciel attendra’, sul temibile fenomeno della radicalizzazione islamica, sottolineando l’importanza di distinguere il fanatismo e l’estremismo dalla religione islamica. ‘E’ importante che questo film arrivi ai giovani e soprattutto agli adolescenti, che sono le vittime più fragili e più facilmente avvicinabili’.
Spiazzante e attualissimo è ‘Le ciel attendra’ di Marie-Castille Mention-Schaar. La storia è quella di due giovanissime, agiate e insoddisfatte ragazze francesi, Sonia e Mélanie, che vengono reclutate dai fondamentalisti islamici per combattere contro i valori e la società occidentali. Un film terribile e inquietante, bruciante e sconvolgente, ma anche un invito all’amore, quello dei genitori, spesso incapaci di decifrare i segnali di una crisi profonda nei propri figli, i quali si rifugiano in menzogne e in pericolose, quanto paradossalmente rassicuranti, promesse. Realistico ed energico, pedagogico ed efficace, il film è il ritratto di un’adolescenza fragile e incompresa e di famiglie lacerate, che però affrontano con coraggio quella incommensurabile ‘banalità del male’. Proprio il forte intento pedagogico, che si tramuta sullo schermo in un certo schematismo didascalico, è forse il punto debole del film, che tende a trattare un po’ superficialmente le motivazioni e i processi psicologici che spingono le due ragazze ad avvicinarsi alla jihad. C’è da dire però che assistere alle modalità in cui l’Isis aggancia le sue vittime mette davvero i brividi e che sia le giovani attrici che le loro madri, Sandrine Bonnaire e Clotilde Corau, sono straordinarie. Senza cedere alle lusinghe del pietismo o del documentarismo, ‘Le ciel attendra’ infonde un inquietante senso di angoscia che scaturisce dalle paure e delle ferite di una tragedia attualissima e terrificante. È il ritratto contemporaneo e allarmante di un Occidente spaurito e senza più certezze, in cui adolescenti sole, ingenue e isolate nei social trovano una via di fuga autolesionista e mortale. Nonostante il film ci coinvolga più per la nostra predisposizione ad identificarci con i problemi e con le paure evocate dalla vicenda raccontata che per effettivi meriti di scrittura, ‘Le ciel attendra’ è un film da vedere, perché coraggioso e terribilmente necessario.
Alberto Leali